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al testo di Roberto Mosi
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Scivolano le tavole sulle onde gonfie di libeccio, le vele tese s’intrecciano sul mare, lontano le isole, le navi al porto di Livorno. Scivola lo sciame dei ricordi, la colonia è una nave arenata fra le dune e il viale a mare, la torre dell’acqua domina le chiome dei pini e dei lecci, segno scolpito del fascio. Galleggiano nell’aria i simboli del regime, danzano in cerchio vecchi fantasmi in camicia nera, architetti e direttrici boriose, maestre i fischietti a la bocca. Bambini vocianti irrompono sulla spiaggia: io sono un punto, la testa rapata su due grandi occhi celesti. Rivive la valigia di cartone, il corredo (quattro mutande, il costume, tre magliette e un cappello), la camerata di trenta letti. Ascolto il canto di cinquecento rivedo gli occhi della mamma, sento gli altoparlanti urlare dai tetti la vittoria di Bartali a Briançon. Riconosco il suono del vento, le raffiche s’infilano nei corridoi, scuotono le porte delle camere, una ad una. Il cartello sulle dune annuncia la prossima vendita, mostra il villaggio e la torre dell’acqua. Le tavole rientrano dal mare, la colonia si innalza come prua della nave, sul ponte di comando sta per apparire il Comandante per annunciare le sorti del mondo. |
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